Dopo sei settimane, il portone del Duomo di San Giovanni verrà chiuso.
L'evento religioso dell'anno, che lo scorso 2 maggio ha portato nel capoluogo piemontese anche Benedetto XVI, ha superato le più rosee aspettative della vigilia. "Sono molto contento per i numeri, ma soprattutto per la carica spirituale, di gran lunga più profonda rispetto all'Ostensione di dieci anni fa", è il bilancio personale del cardinale Severino Poletto, alla sua ultima fatica come arcivescovo di Torino.
Il porporato, che tra poche settimane terminerà il suo mandato pastorale per raggiunti limiti di età, non nasconde di "essersi commosso nel vedere i pellegrini raccolti in preghiera davanti a questo simbolo della sofferenza di Cristo".
Una Sindone più bella grazie al restauro del 2002, nonostante qualche polemica sull'illuminazione, nella quale le persone hanno cercato una risposta ai loro problemi e alle loro angosce, davvero tante "in un periodo di crisi - ha sottolineato Poletto - come quello che stiamo vivendo". Domani, alle 16, il cardinale celebrerà l'ultima Messa davanti alla Sindone, e leggerà la lettera di ringraziamento inviatagli dal pontefice, nella quale "esprime tutta la gioia - ha rivelato - per avere incontrato una comunità, un fervore e un entusiasmo straordinario". Poi la celebre icona sarà di nuovo riposta nella speciale teca posizionata sotto la Tribuna reale del Duomo, dove è custodita dal 1998, in attesa di una nuova Ostensione. Che non potrà mai essere permanente, per non trasformare in routine un "evento straordinario". Intanto, però, tutti coloro che in queste settimane sono venuti a Torino conserveranno nel loro cuore questa "icona dell'umanità oscurata dagli orrori", come l'ha definita Papa Ratzinger. E in quell'uomo torturato e crocifisso, proprio come il Gesù dei Vangeli, troveranno "la fede e la speranza", ha detto il cardinale Poletto, per affrontare i problemi di tutti i giorni. Si chiude così il cerchio anche sul motto di questa Ostensione, 'Passio Christi, Passio Hominis'.
Una scelta non casuale, dettata dal desiderio di far coincidere le sofferenze di Gesù con quelle degli uomini. Perché "il Signore è penetrato dentro la morte - ha spiegato ancora l'arcivescovo di Torino - per portare la luce della resurrezione". Un messaggio di speranza, che per Poletto ha avuto un grande merito: quello di "rilanciare la fede in un tempo di smarrimento e di nebbia spirituale" (ansa).